L’importanza di un modello neurobiologico - evolutivo integrato per la comprensione dell’interazione GENE – AMBIENTE
L’esposizione a eventi sfavorevoli nell’infanzia, come ad esempio l’abuso fisico o sessuale, aumenta in maniera significativa il rischio di vari disturbi psicosomatici e psichiatrici in età adulta. Diversi fattori sembrano giustificare la variabilità dell’impatto di questa esposizione sul rischio di psicopatologie o sulla resilienza. I dati di ricerca pongono l’attenzione sull’ereditarietà genetica e sull’ambiente di crescita dell’individuo, cosi come della loro interazione nel determinare rischio e resilienza rispetto a esiti psicopatologici.
Lo stress precoce e l’abuso, sono i fattori più comunemente vagliati negli studi psichiatrici riguardanti l’interazione (GENE – AMBIENTE), in parte a causa dell’innegabilità che lo STRESS precoce possa giocare un ruolo fondamentale nell’aumentare il rischio di molteplici disturbi psichiatrici. Altri fattori ambientali presi in esame implicano quelli che sembrano influire sul rischio di malattia psichiatrica alterando la maturazione della mente durante i momenti chiave della prima e seconda infanzia. L’area di ricerca più approfondita pone particolare attenzione sull’impatto delle esperienze precoci del bambino rispetto allo sviluppo dei sistemi biologici e neuronali responsabili della risposta allo STRESS e alla sua regolazione, specie di fronte a eventi cosiddetti traumatici e che mettono le basi per l’istaurarsi di un futuro soggetto resiliente. In particolar modo l’ambiente materno delle prime cure primarie all’infante, influenzerà i comportamenti di risposata allo STRESS a controllo genetico, promuovendo di conseguenza un’architettura mentale dei percorsi di risposta allo STRESS più o meno resiliente, architettura che persisterà per tutto l’arco di vita di un individuo. L’interazione tra corredo genetico, struttura/funzione cerebrale e comportamento, può variare nel corso degli stadi evolutivi della persona in risposta a determinati fattori ambientali; pertanto alcuni periodi dello sviluppo legate alle aree corticali della mente, permettono una maggiore plasticità dell’organizzazione psichica.
La letteratura scientifica in merito a questo, fornisce dati in suffragio al modello neurobiologico trattato, a supporto dell’ipotesi che una varietà di esperienze infantili sfavorevoli interagisca con variazioni genetiche che influenzino nel corso della vita i livelli di depressione ed ansia, cosi come anche i comportamenti esternalizzanti, ovvero comportamenti esterni difficili, spesso dirompenti e veri e propri punti di rottura per la vita quotidiana. Pensiamo ad esempio alla dopamina, neurotrasmettitore presente nel sistema nervoso centrale, il quale gioca un ruolo fondamentale nella mediazione del processo motivazionale, nella ricerca di ricompensa e nelle funzione esecutiva. Le vie neurali preposte a gli effetti della dopamina sono particolarmente importanti nel coordinare le funzioni esecutive, come attenzione, organizzazione, pianificazione, gestione del tempo, controllo degli impulsi e giudizio. Molti studi si sono concentrati sulle interazioni (GENE – AMBIENTE), relativo al circuito corticale presieduto dal sistema dopaminergico, valutando aspetti predittivi rispetto all’impulsività, violenza, e sintomatologia legata al deficit di attenzione e iperattività. Quanto appena espresso incide sul processo di attaccamento, concetto chiave introdotto da “Bowlby 1969 Attaccamento e perdita“, prerogativa del processo evolutivo basato sulla resilienza; possiamo pertanto identificare una spiegazione plausibile del meccanismo biologico mediante il quale l’alterata espressione genetica del sistema della dopamina, modula il rischio di comportamento esternalizzante in risposta a particolari esposizioni ambientali durante lo sviluppo della persona. La dopamina ha il potenziale per modulare la sicurezza nell’attaccamento in diversi modi. Ad esempio, una madre con una funzione esecutiva danneggiata in conseguenza di un’ alterata neurotrasmissione della dopamina nella corteccia prefrontale, potrebbe interferire con l’attaccamento sicuro prerequisito della resilienza e del suo processo, promuovendo di conseguenza uno stile di comportamento incoerente di risposta materna ai segnali del bambino attraverso il cosiddetto mirroring,(Infant-Research;2002). In merito a questo è stato riconosciuto il ruolo cruciale della sensibilità genitoriale nello sviluppo della capacità del bambino di stabilire attaccamenti con adulti protettivi, modulando lo stress. Dati sperimentali indicano, che la comparazione tra madri con assetto genetico diverso rispetto alle madri con attaccamento sicuro “gruppo di controllo”, mostrano una minore sensibilità nelle cure primarie dell’infante a fronte di un aumento delle difficoltà quotidiane, viceversa maggiore sensibilità nelle cure primarie a fronte di una diminuzione dei problemi quotidiani. Questo suggerisce un atteggiamento comportamentale di aumentata sensibilità ambientale, per via del quale gli individui risultano molto responsivi ad un ambiente ricco di segnali positivi, ma possono facilmente deviare quando l’ambiente diventa caotico e disorganizzato. Rispetto all’infante, l’alterata trasmissione della dopamina può influenzare la sensibilità al modello delle risposte materne. I dati di ricerca suggeriscono che tra diversi bambini, la variabilità avviene rispetto alla suscettibilità a gli influssi ambientali, e che minori livelli di efficienza dopaminergica sono correlati con una maggiore vulnerabilità allo STRESS genitoriale. In un importante risultato(GENE- AMBIENTE), una particolare organizzazione genetica denominata “polimorfismo-DRD4-repeat” è stata associata ad un aumentato rischio di attaccamento disorganizzato, ma solo in presenza di madri che hanno avuto traumi, perdite o lutti non risolti. Un ulteriore studio riguardante un intervento sulle cure genitoriali mirato a migliorare la sensibilità materna e la qualità dell’attaccamento, ha mostrato che i bambini con “allele DRD4 7-repeat” dimostravano una riduzione della produzione quotidiana di cortisolo spesso definito ormone dello stress; ciò suggerisce che i bambini con questo assetto genetico sono biologicamente più sensibili a l’intervento delle cure primarie operate dalle madri o caregiver di riferimento. Poiché questo stesso gruppo ha riportato un inverso rapporto fra livelli di cortisolo basale e comportamenti esternalizzanti, è possibile estrapolare che questi bambini potranno mostrare una maggiore riduzione dei comportamenti esternalizzanti in conseguenza a questo intervento sul parenting o genitorialità. La letteratura che in parte è stata sin qui trattata, fornisce alcuni dati ancorati ai modelli neurobiologici a supporto dell’ipotesi che una varietà di esperienze sfavorevoli come abuso fisico-sessuale e altro, possano interagire con variazioni genetiche, influenzando nell’arco di vita di ogni essere umano i livelli di depressione e ansia, cosi come i comportamenti esternalizzanti. Queste evidenze scientifiche, gettano le basi per future ricerche che utilizzino funzionali ed efficaci approcci orientati alla prevenzione e al trattamento della psicopatologia. L’auspicio è che tali conoscenze orientino lo sviluppo di interventi psicoterapeutici e farmacologici ove necessari, che individuino specifici percorsi associati a rischio/resilienza. L’incremento dei suddetti interventi verranno agevolati dall’approfondimento della conoscenza scientifica riguardante i differenti impatti neurobiologici legati alle differenze di genere uomo-donna e a differenti valenze rispetto al timing dell’abuso. In modo parallelo, le tempistiche degli interventi potranno svilupparsi ulteriormente grazie a una migliore conoscenza dei significativi periodi evolutivi durante i quali l’arricchimento ad opera dell’ambiente mitiga l’impatto negativo associato ai fattori di rischio evolutivo.
A cura del Dott. Alessandro Meluzzi e del Dott. Francesco Nannini
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